Io mi vanto, con orgoglio, di non appartenere a nessuna delle suddette categorie, eppure, per quanto riguarda l'ultimo punto, non posso che battere 3 volte la mano sul petto e dire che sì, anche io in verità, in verità vi dico, che ho molto peccato per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.
Il mio stracciacazzismo si sfoga e manifesta, in tutta la sua magnificenza, con la raccolta differenziata.
Perché Io differenzio tutto.
Devo differenziare tutto.
Se non sono a casa, dove mi attende un angolo del balcone ormai adibito a discarica Amiat, ripongo in borsa/auto e ciao.
Il succo alla pera in bric? (quanta consolazione mi dà il succoallaperainbric. Se lo bevo sento che, dopo, tutto andrà per il verso giusto) Involucro nella carta (eh già, il tetrapack vale come carta, sono rimasta sconvolta quando l'ho scoperto) e cannuccina nella plastica. Il cartone della pizza-al-tutto? Non si può riciclare perché è unto e sporco e fa anche un po' schifo, il giorno dopo.
Sono arrivata al punto di recuperare dal bidoncino sotto il lavandino i pacchetti di sigarette buttati da Panofsky.
Li prendo, divido la pastichina dal resto e separo.
E respiro.
E mi sento buona e giusta.
E mi vedo sopra un barcone battente bandiera Greenpace, a prua, un po' Rose di Titanic, un po' Geena Davis in Pirati, mentre solco i mari del Nord per salvare balene, delfini e placton. Musica in sottofondo, struggente e piena, da documentario del National Geografic, per intenderci.
A tale attività sì impegnativa dal punto di vista mentale ed emotivo, si aggiunge anche un certo impegno fisico, visto che i contenitori di carta e plastica sono a 2 isolati da casa e che quindi, il sabato sera, apparecchiata per la movida torinese, carico in auto quantità di sacchetti che non produrrebbe nemmeno una famiglia di 5 persone e costringo Panofsky ad un pit stop obbligato, anche se siamo in ritardissimo e dobbiamo arrivare al ristorante entro 15 minuti ché sabato tutti vanno a mangiare in San Salvario e se ci fottono il posto ci restano solo il kebab e gli insulti di Demir.
Non pienamente soddisfatta di tutto questo sbattone, però, venerdì sono giunta alla consapevolezza che sì, va bene l'attivismo, ma necesse est diffondere il verbo, fare proselitismo e catechesi, insomma, rompere un po' le palle al prossimo.
SOLUZIONE: inserire nella mia firma di posta elettronica un loghino green think.
Quale scegliere? Poiché nel mio animo green alberga anche una squinzia senza precedenti, non potevo ovviamente optare per la banalità dell'albero di pino con stradina annessa, anche perché è un attimo che la mente va ai cipressi di San Guido e a quel tristone del Carducci.
Pertanto ho cercato versioni più fresche e orginali e ho trovato opzioni per tutti i gusti.
NONILSOLITOCLAIM. Perchè "think before you print" è una frase inflazionata. |
GRAFICO. Sì al pino, sì pure alle frecce che richiamano al riciclo, no alla stradina. |
RIFLESSIVO. La mail che stai per stampare, finirà cosi. Pensaci. |
INTENTO DICHIARATO, ma senza il pino. |
GGGIOVANE. In slang, solo per i più smart. |
FEMMINILE. Sinuoso, in 3 tonalità di verde |
Le 3 R. |
IL SEME DEL DUBBIO. |
SCHIERATO |
IMPERATIVO |
CARTOON |
DISCRETO |
MINIMAL |
Ecco. La commistione di rettitudine in vita, integrità morale, coerenza e diffusione del messaggio nel mondo digitale, saranno le ovvie ragioni per cui vincerò il nobel per la pace nel 2023. Ringrazierò il pubblico muovendo la manina con l'eleganza che Regina Elisabetta mi ha insegnato.
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